Contrariamente a quello che ci hanno raccontato i libri di storia, lo sbarco a Marsala non fu affatto ‘eroico’. Al contrario, era stato preparato dagli inglesi, che in questa cittadina della Sicilia erano i veri padroni. Si è trattato di una sceneggiata squallida. Contrassegnata dal tradimento del comandante della spedizione napoletana, Guglielmo Acton, che subito dopo passerà nella marina sabauda e non avrà scrupoli nel partecipare agli assedi di Gaeta e Ancona, sparando contro i suoi commilitoni. Nasceva l’Italia dei tradimenti e dei traditori…
11 maggio 1860, lunedì: Il gran giorno.
Il ritardo “scientifico” provocato dal brigadiere Francesco Cossovich produce i suoi effetti. Le navi borboniche sono a distanza di “sicurezza”. Non potranno più impedire lo sbarco. Per “rassicurare i liberatori”, una nave commerciale inglese incrocia l’eroico convoglio.
Scrive Cesare Abba l’ebete: “Un piccolo naviglio veniva da terra. Bandiera inglese”.
Che scopo ha questo incrocio? Da un lato di confermare ai mille che la strada è libera, dall’altro di notificare a Torino che ormai lo sbarco è virtualmente cosa fatta. E se ne occupa personalmente Nino Bixio. Abba riporta le parole di Bixio:
“Dite a Genova (non può dire Torino, ovviamente) che il Generale Garibaldi è sbarcato a Marsala oggi a un ‘ora pomeridiana”.
Veramente non è ancora sbarcato, ma ormai è solo una questione di tempo.
Perché Marsala? Per due motivi: il primo, perché non è presidiata da truppe borboniche le quali, soffocata la rivolta del 7 Aprile dello stesso anno, hanno lasciato Marsala tra le acclamazioni della folla e i ringraziamenti del sindaco della città che, dopo poche ore, si metterà a disposizione di Garibaldi. Il secondo motivo è che Marsala è virtualmente in mani inglesi ed i rapporti con il governo borbonico non sono certo idilliaci.
Le navi Argos e Intrepid, ricordate?, presidiano il porto. Su tanti, troppi capannoni ed edifici garrisce l’Union Jack, la bandiera britannica e prenderla a cannonate, anche se per errore, non è una buona idea. Scrive Abba, al quale la cosa pare normale: “Su molte case sventolano bandiere di altre nazioni. Le più sono inglesi” e si chiede stupito: “Che vuol dire questo?” E’ proprio scemo.
Al riparo degli inglesi, i “nostri” sbarcano senza problemi e solo dopo lo sbarco il comandante della spedizione napoletana, Guglielmo Acton, che ha già in saccoccia i trenta denari, informa gli inglesi Ingram e Cossins che era costretto a fare fuoco sui ribelli. Gli inglesi acconsentono garbatamente, purché non si spari sulle loro bandiere, che, ricordo, sventolano ovunque.
Unica vittima del cannoneggiamento di Acton risulterà essere un cane, proprio un cane, sapete, quell’animale a quattro zampe amico dell’uomo.
Acton, altro traditore, fu poi sottoposto al consiglio di guerra. Passò con la marina sabauda il 7 Settembre 1860 e non si fece scrupolo di partecipare agli assedi di Ancona e Gaeta contro i suoi stessi ex commilitoni. Ovviamente un gentiluomo come lui fu senatore del regno d’Italia.
Chiudiamo questa fase ‘cruciale’ dell’epopea riferendo dell’accoglienza che ricevettero i “liberatori”. C’era ad accoglierli meno gente di quanta ce ne sarà stamattina a Marsala a festeggiare la fine della Sicilia (ma questi qui almeno qualcosa, fosse un attimo di notorietà, fosse qualche pasticcino, qualcosa a casa la porteranno).
Scrive Abba:
“La città non aveva capito nulla; ma la ragazzaglia era già venuta in turba”.
E finalmente l’incontro tra i mille e l’esercito regolare. I Borbone? No, gli inglesi! Ecco ancora Abba:
“Alle porte della città comparvero gli ufficiali di marina in calzoni bianchi e venivano giù al porto”.
La testa di ponte piemontese per le successive spedizioni in Sicilia era operativa.
(continua)
Pubblicato sui “I Nuovi Vespri”