STORIE CHE NESSUNO MAI VI RACCONTERA’: “Fantina (Me) 2 settembre 1862: dove il Regio Esercito piemontese fece strage di Garibaldini”.

La storiografia ufficiale sul periodo del Risorgimento in Sicilia (ma anche in Italia) non è come la studiamo nei libri di scuola. La cosiddetta unità d’Italia fu anche tragedia. Fu anche scontro fra italiani e gli stessi garibaldini italiani. Fu l’annessione forzata della Sicilia e del Sud al Regno del Piemonte che, come scrisse il generale Enrico Cialdini al re, produsse “8968 fucilati, tra cui 64 preti e 22 frati; 10604 feriti; 7112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi”.

Fra le tante verità negate dalla storiografia ufficiale del risorgimento in Sicilia, v’è quella, passata anch’essa nel dimenticatoio, che va sotto il nome di eccidio di Fantina.

Fondachelli Fantina (Provincia di Messina)
Fondachelli Fantina (Provincia di Messina)

Un eccidio che la dice tutta sui barbari e sanguinari metodi, di chiara impronta nazista, dell’esercito italo-piemontese e che ebbe luogo appunto a Fantina nel settembre 1862 in concomitanza ai fatti di Aspromonte che, come tutti sanno, si conclusero con il ferimento di Garibaldi a opera dei bersaglieri del generale Pallavicini che aveva avuto, dal re galantuomo Vittorio Emanuele II, l’ordine perentorio di fermare a tutti i costi, anche al prezzo di un bagno di sangue, l’avanzata dei garibaldini verso la città eterna al grido di “Roma o morte”. Una scarica di fucileria alle pendici dell’Aspromonte, richiamò all’ordine sabaudo i bollenti spiriti degli illusi garibaldini e ne fermò l’avanzata.

Da quel momento l’esercito regio apre una vera e propria caccia ai garibaldini, perpetrando nei loro confronti arresti, repressioni e deportazioni. Quasi duemila volontari, per lo più, siciliani e meridionali, vengono arrestati e assieme a diversi militari che avevano abbandonato i loro reparti per unirsi a Garibaldi, vengono deportati e rinchiusi nelle fortezze dell’antico regno sabaudo tra le quali la più triste e nota era quella di Fenestrelle, nell’Alta Savoia, a 2mila metri dall’altezza e da cui per la rigidità del clima e per il barbaro stato di detenzione era difficile uscirne vivi.

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Ed è in questo contesto che avvenne l’ignobile eccidio di Fantina a opera del 47° reggimento di fanteria sabaudo, agli ordini del maggiore Giuseppe De Villalta, nei confronti di una colonna di garibaldini guidata dal palermitano Carlo Trasselli, il quale, dopo aver inutilmente cercato di raggiungere Garibaldi in Calabria, saputo l’infelice esito dell’impresa, rassegnato si accingeva a raggiungere Novara di Sicilia per consegnare le armi al sindaco.

Nella marcia di avvicinamento, la colonna si disperse e una parte di essa, esausta, si fermò a riposare, trovando rifugio nelle case e nella chiesetta di Fantina, un piccolo centro della provincia di Messina. La notte tra il 2 e 3 settembre, i fuggiaschi furono circondati e sorpresi nel sonno dai piemontesi; si arresero e quando furono tutti in piedi il comandante sabaudo maggiore Giuseppe De Villalta si fece loro incontro dicendo: «Volontari se in mezzo a voi si celano dei disertori si facciano avanti. Il re li perdona e li lascerà immediatamente raggiungere i loro corpi».

Illusi dalle promesse di quell’uomo senza onore si fecero avanti in sette; immediatamente circondati e messi in disparte furono richiesti del nome e del corpo d’appartenenza da cui avevano disertato. A quel punto De Villalta, calpestando il codice d’onore e ogni norma d‘umanità, rivolgendosi a quei poveretti, illusi delle sue promesse, disse: «Soldati voi siete spergiuri verso la patria e il re. In nome della legge militare vigente, voi siete condannati alla pena di morte da eseguirsi all’istante. Disertori, vi concedo dieci minuti da dedicare alla preghiera».

Inutili furono le proteste di quei poveri sventurati che alla fine chiesero, prima di essere fucilati, di potere scrivere due righe come ultimo pensiero ai propri cari e soprattutto, Costante Bianchi il più giovane dei sette, appena diciottenne, che implorò sino alla fine, rivolto al plotone che stava per fucilarlo, di poter lasciare un ultimo messaggio di saluto alla amata madre. «Soldati», disse per l’ultima volta il giovane, «il voto dei morenti è sacro. Se avete una madre che amate anche voi, lasciate che io scriva una parola alla mia».

Fu tutto inutile Giuseppe De Villalta, rispose alla supplichevoli richieste dei condannati a morte: «Siete solo briganti e non meritate altro che piombo nello stomaco». Al terzo rullo di tamburo una scarica di fucileria pose fine alla vita di quelle giovani vittime.

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L’elenco completo di coloro che furono passati per le armi è il seguente:

Giovanni Balestra, nato a Roma nel 1841, bersagliere

Costante (Costantino) Bianchi, di Graffignana (oggi provincia di Lodi), sergente del 25º battaglione bersaglieri

Giovanni Botteri, nato a Parma il 9 aprile 1841, combattente del 1859 e del 1860. Passato dall’Esercito alla spedizione garibaldina

Giovanni Cerretti, nato a Trecenta (provincia di Rovigo) il 13 gennaio 1845, bersagliere del 25º battaglione bersaglieri

Barnaba della Momma, nato a Roma, bersagliere del 25º battaglione bersaglieri

Ulisse Grazioli, di Parma

Ernesto Pensieri, anch’egli di Parma.

In realtà gli ultimi due non appartenevano al Regio Esercito e chiesero, invano, di ritirarsi.

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Furono sepolti sotto il sagrato della chiesa di Fantina e ricordati da una lapide commemorativa collocata sulla facciata della chiesa. Nel settembre del 2000, nel luogo dell’eccidio è stato eretto un cippo con i loro nomi, a perenne ricordo di quell’atto di viltà e di barbarie.

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Uno dei tanti che i piemontesi, all’alba dell’Unità d’Italia, perpetrarono a danno delle popolazioni meridionali, nel nome del Re galantuomo; il quale, per l’inaudito eccidio di Fantina, dispensò pure promozioni (De Villalta da maggiore fu promosso colonnello) e riconoscimenti ai protagonisti. Dall’eccidio di Fantina riuscì a salvarsi per miracolo colui che diverrà poi un’icona dell’anarchismo e tra i fondatori del socialismo italiano, Amilcare Cipriani, il quale in seguito eletto deputato nel partito socialista, non occupò mai il suo seggio per non prestare giuramento al re. Cipriani disertore due volte nella spedizione dei mille prima e in quella d’Aspromonte poi e che in quel frangente faceva parte della colonna Trasselli, assistette impotente alla barbara esecuzione dei suoi compagni dall’alto di una collina.

Qualche anno più avanti, Pietro Castagna, un altro garibaldino sopravvissuto a quell’eccidio, da testimone ricostruì, per conto del giornale di Brescia “Il fascio della democrazia”, i terribili particolari di quella drammatica giornata. Ancor più di recente, il giornalista Antonio Ghirelli da poco scomparso, a quell’avvenimento dedicò, nel 1986, edito da Sellerio, il saggio “L‘eccidio di Fantidownload

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Per il resto di questo infame atto di viltà compiuto dall’esercito piemontese non vi è la minima traccia, obliato nei partigiani resoconti della storiografia ufficiale e scolastica. La damnatio memoriae ha colpito ancora.

di Ignazio Coppola

(Pubblicato su “I Nuovi Vespri”)

https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Fantina