L’ESSENZA DELLO STATUTO SPECIALE SICILIANO NELLE PAROLE DI ATTILIO CASTROGIOVANNI

L’ESSENZA DELLO STATUTO SPECIALE SICILIANO NELLE PAROLE Di ATTILIO CASTROGIOVANNI

da “Il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” – Memorie del duca di Carcaci

Franz carissimo,

l’incontro in casa tua è stato veramente indovinato e felice e tra i cinque si è creato un “momento magico” che ci ha tolto dalle spalle 30 anni e ci ha fatto vibrare nel petto la fede, la volontà e l’orgoglio di allora.

Di quando lottammo, soffrimmo e vincemmo dopo aspra e combattuta guerra.
In verità in quella stanza ed in quel momento non eravamo cinque, ma erano con noi — entità presenti seppure invisibili — i Finocchiaro Aprile, i Tasca, i Canepa ed i Rosano e quanti allora furono con noi e come noi e taluno migliore di noi.
Ho detto guerra, perché di guerra si è trattato che si è conclusa con una nostra indiscutibile vittoria.

Eravamo pochi?
Si vede che i pochi valorosi pesano più, nella Storia, dei molti imbelli.

Monte San Mauro Caltagirone Stele eretta da Concetto Gallo a ricordo della Battaglia del 29 dicembre 1945

Eravamo scalzi, poveri ed affamati?

Si vede che la vita non è fatta solo di benessere materiale e che la forza non è fatta di stomachi sazi
ma di cuori pieni di ideali.

Non avevamo armi?
Si vede che l’arma della ragione e della fede conta più dei fucili e dei cannoni.

Il fatto certo è che noi abbiamo vinto e che l’Italia nella forma antica e per essa il suo governo dovettero venire a patti e, di seguito, concludere una pace e che noi lo ripeto vincemmo.

La Vittoria, si dice, ha cento padri; la sconfitta è orfana. Ma nel nostro caso in Sicilia ed in Italia, pur essendo innumerevoli le facce di bronzo, nessuno ha osato assumersi la paternità della vittoria e tutti, anche i nostri più acerrimi detrattori e nemici ed i falsificatori più abili, han dovuto convenire che l’autonomia è la vittoria del separatismo.

Ho parlato di guerra e di pace e bene a ragione, perché le accese lotte, talvolta cruente, dal ’43 al ’46 si conclusero con un patto di armistizio che venne ampiamente dibattuto e concordato in sede di Consulta e si concretò nel Decreto Legislativo del 15 maggio 1946 che promulgò lo Statuto Speciale per la Regione Siciliana.

Lo Statuto Speciale Siciliano 15 maggio 1946

Cosa questa che permise al Governo Italiano di vedere eletti, nelle elezioni immediatamente seguite del 6 giugno 1946, appena 4 indipendentisti all’Assemblea Costituente Nazionale.

Se ne dedusse che noi, in realtà, eravamo deboli, oppure che il Popolo Siciliano fosse ingrato, ma questo non è vero perché i lottatori sono sempre pochi, mentre i politicanti sono molti ed alla gratitudine i popoli non sono tenuti.

Basti pensare che, quasi nello stesso momento, gli inglesi non ridiedero la maggioranza a quel Churchill che era il loro Eroe, che li aveva salvati dalla catastrofe e portati alla vittoria.
Proprio perché i popoli scelgono gli uomini della guerra quando si deve fare la guerra e quelli della pace quando la pace deve èssere fatta.

Piuttosto io direi che i Siciliani furono imprudenti, perché ritennero — come veniva propagandato — che la promulgazione dello Statuto costituisse un trattato di pace, laddove esso in realtà costituiva un patto di armistizio che in trattato di pace si sarebbe trasformato solamente quando fosse stato incorporato inalienabilmente nella Costituzione dello Stato.

Alla Costituente eravamo appena in quattro (e negli ultimi tempi ci assottigliammo in tre) e, tuttavia, ebbimo la capacità di fare accogliere senza il mutamento di una sola virgola lo Statuto del ’46 nel meraviglioso giorno del 2 febbraio 1948.
Arrivammo a ciò per la statura che aveva saputo assumere il nostro Finocchiaro Aprile in Parlamento negli indimenticabili giorni delle sue memorabili battaglie che ancora oggi vengono ricordate come monito ai pavidi, agli intriganti ed ai disonesti.

In verità i Siciliani si dimostrarono imprudenti ancora una volta quando non mandarono Finocchiaro Aprile al Senato ed infine quando nel 1951 non ridessero gli indipendentisti.
In quest’ultima occasione essi furono vittima di un tristissimo imbroglio — quello del mutamento della legge elettorale pochi giorni prima delle elezioni del 1951 che divideva la Sicilia in nove diverse e quasi nemiche parti, spegnendo lo spirito di sicilianità tutto e consegnandola alle beghe, agli intrighi ed alle miserie delle varie cosche dei partiti e dei numerosi borghi.

Tornando al nostro discorso di guerra, di patto di armistizio e di trattato di pace debbo dire che tutto ciò è reso evidente dal fatto che gli altri statuti — anche quelli speciali — vennero “concessi” laddove il nostro venne lungamente elaborato e concordato dalle parti in sede di “Consulta Nazionale”.

In seguito qualcuno, non potendosi proclamare padre della vittoria, ha tentato — non creduto — di proclamarsi autore di qualche parte di essa; ma in realtà tutto venne fuori dalla nostra ispirazione e non dimenticherò mai ì lunghi giorni e le lunghe notti nelle quali, prigioniero ed isolato nelle varie carceri di Sicilia, meditavo il modo come dare uno Statuto Federativo alla nostra Isola, togliendo all’Italia i mezzi essenziali con i quali ci aveva soggiogato, oppresso e sfruttato.

Lascia che ti dico che meritava di essere con noi, nella giornata di ieri, il buon Siciliano Guarino Amella che si fece fedele e combattivo portatore delle nostre istanze con ciò rendendosi utile alla nostra Patria nei momenti solenni dell’accordo.

Ti esporrò perché noi vincemmo e come costringemmo il Governo dell’Italia di allora alla resa alle nostre condizioni e come da allora la “Magna Carta” delle libertà siciliane solenne ed insopprimibile, perché facente parte della Costituzione dello Stato, abbia in realtà creato uno Stato federativo.

Che i machiavelli romani e gli sciagurati servi traditori nostrani — da quegli spergiuri che sono — non abbiano attuato lo Statuto non ha importanza, perché nella sua indistruttibilità di carta costituzionale esso può sembrare ucciso, ma in realtà è semplicemente addormentato e può venire il giorno — e questo giorno prima o poi verrà — nel quale esso si sveglierà ad opera di uomini di fede e produrrà quegli effetti che sino ad oggi non ha prodotto con una rivoluzione che sarà simile in apparenza alla nostra, ma che in realtà sarà sostanzialmente dissimile.

Noi, infatti, lottammo contro le Leggi ingiuste affinché esse venissero mutate; in avvenire si dovrà lottare per la protezione delle Leggi giuste ed al solo scopo che esse siano attuate.

Non mi resta che elencarti le singole clausole vittoriose del trattato di pace.

1) Al popolo Siciliano e per esso al Parlamento venne attribuita la “competenza esclusiva” a fare leggi in quasi tutte le materie che riguardano i valori materiali e morali relativi ad una Società civile (art. 14 dello Statuto).
Per quanto riguarda le materie secondarie era lo Stato a legiferare; ma se le leggi non venivano condivise, perché non adatte alla Regione, essa poteva mutarle, integrarle o parzialmente sopprimerle.

2) La Regione ebbe non un Consiglio Regionale, ma una Assemblea e non Consiglieri Regionali ma Deputati (art. 3 e segg. dello Statuto).

3) Venne recisa quella che era stata lungamente una corda al nostro collo in mano del Governo Centrale per guidare ed, alla occorrenza, per impiccare le resistenze siciliane.
Vennero, infatti abolite le Province ed i relativi prefetti agli ordini diretti di Roma e molto spesso contro la Sicilia (art. 15 dello Statuto).

4) Vennero tolti i denti al cane che per 86 anni ci aveva soggiogato e morso, perché il siciliano considerava il carabiniere (o peggio il poliziotto) come la pedina vicina di un lontano oppressore. Infatti la polizia venne messa agli ordini del Presidente della Regione (art. 31 dello Statuto).

5) Vennero riconosciuti i torti della dominazione di 86 anni ed abbiamo imposto al perdente il pagamento delle “riparazioni” e la restituzione del mal tolto.
Infatti con l’art. 38 si chiarisce che eravamo stati portati al fondo del livello nazionale e che l’Italia era tenuta a riparare il danno restituendo quanto occorreva per riportare al livello medio nazionale (art. 38 dello Statuto).

6) Abbiamo sbarrato la strada alla possibilità di ulteriore sfruttamento, riservando a noi le nostre ricchezze e precisamente dedicando al bene dei siciliani le valute estere, prima impedite dalle varie autarchie e poi dissipate dalla famelicità del nord. Infatti è previsto che siano a noi devoluti i proventi delle valute estere derivanti dalle rimesse degli emigrati, dal Turismo, dai noli marittimi e dalle esportazioni (art. 40 dello Statuto).
In proposito è giusto riportare un ricordo e fare un’osservazione:
a) Luigi Einaudi, grande economista e piemontese verace, fece il possibile e l’impossibile perché questo articolo non venisse approvato e correva, seppure zoppo, fra i banchi della
Costituente gridando: “Se approvate questo articolo, la Sicilia potrà battere moneta propria!”.
b) Se si fosse obbedito alla Costituzione, oggi la Sicilia sarebbe l’unica regione d’Italia a poter essere presente ed operante in quelle organizzazioni europee ed internazionali alle
quali l’Italia ha tentato di dire “arrivederci” e che, con viso arcigno, hanno risposto “addio”; e ciò mentre l’Italia, staccata dall’Europa, è già divenuta Africa: Africa senza petrolio.

7) Tutti i beni dello Stato e degli enti statali nella Regione sono stati restituiti ai siciliani, meno le caserme, delle quali la Sicilia faceva volentieri a meno e che vengono considerate alla stregua di basi militari in terra straniera.

8) Niente si deve più poter tramare contro la Sicilia. Quando di essa si parla deve essere presente, con la qualità di Ministro, il Presidente della Regione. Nessuno deve poter comandare in Sicilia a nome dello Stato, perché la rappresentanza di esso è devoluta al Presidente della Regione {art. 21 dello Statuto).

9) Infine e lo comunicò per ultimo perché è il più importante, in quanto con questa “clausola” abbiamo nella lettera e nello spirito creato due diversi Stati seppure federativamente vincolati.
Si tratta dell’Alta Corte per la Sicilia {art. 24 e segg. dello Statuto). Infatti, secondo questa norma, la Sicilia fa le sue Leggi e si autoamministra, mentre l’Italia fa lo stesso nel residuo territorio nazionale. Se la Sicilia dovesse emanare una Legge in contrasto con la Costituzione Italiana, L’Italia ha il diritto di proporre ricorso ed uguale diritto compete alla Regione nel caso che l’abuso sia italiano.
La decisione è devoluta ad un collegio arbitrale ad altissimo livello — l’Alta Corte per la Sicilia — nominata dalle parti con pari forza numerica {tre per ognuna) e con pari dignità sostanziale.

Non sono, questi, due Stati?

Non sono, questi, due Stati con possibilità di controversia e con decisioni a prendersi da una Corte sovrannazionale?

Questa è la ragione per la quale per prima e ferocemente è stata aggredita l’Alta Corte e — dicono loro — soppressa.

Questo può essere vero al momento attuale, nel quale la nostra terra è governata da un “viceré con novanta bocche” {e con molta fame in ogni bocca perché destinata a nutrire molti stomachi); ma il giorno in cui la Sicilia si sveglierà e qualcuno la renderà edotta dei propri diritti insopprimibili, perché consacrati in una carta che non può essere soppressa; si constaterà che nulla è morto, ma che il buon diritto della Sicilia fu da noi conquistato in modo definitivo e con perennità nel tempo.

Quel giorno potrà essere vicino o lontano, ma, prima o poi verrà.

Di molti altri articoli da considerarsi clausole di un trattato di pace vittoriosamente concluso dalla Sicilia e contro il sistema Italiano, potrei scrivere ma dovrei dilungarmi, perché tutto lo Statuto, in ogni singolo articolo, è permeato di vittoria nostra e di sconfitta altrui dalla prima all’ultima virgola e basta rileggerlo per comprendere lo spirito e la portata.

Come ti dicevo, Franz carissimo, il momento di ieri è stato magico e possiamo essere lieti di avere potuto una volta e per sempre affermare che la nostra opera ha creato della Storia e che la cronaca dei fatti e degli avvenimenti deve essere — nella sua piccolezza — subordinata alla grandezza dell’avvenimento storico nel quale abbiamo avuto la fortuna di inserirci, combattendo, soffrendo, morendo; ma illuminati, alla fine, dalla vittoria, non delle nostre persone, ma della nostra Terra.

Questa mia segue, su Vostra richiesta, la “lettera di esortazione” che giorni addietro ho inviato a Giuseppe Tasca che ti rimetto in copia.
Sono certo che darete al libro “al Nostro Libro” quella dignità e levatura che esso merita per oggi, e più ancora, per domani.

Ti abbraccio.

ATTILIO CASTROGIOVANNI