KARL MARX: “LA SICILIA E I SICILIANI”

 

KARL MARX: “LA SICILIA E I SICILIANI”

Quello siciliano, è stato spesso nell’immaginario collettivo concepito come un popolo storicamente poco avvezzo alla ribellione, sottomesso alle secolari dominazioni che si sono ripetutamente susseguite nell’isola nei millenni. Tale descrizione in realtà è a dir poco fuorviante.

Ancor prima che con la rivolta dei Fasci dei Lavoratori Siciliani (1891-1894) la popolazione isolana desse prova della propria capacità organizzativa e del desiderio di ribellarsi al gioco del latifondo agrario e alle prepotenze monarchiche, si erano registrati nei secoli addietro eventi storici che confutavano la concezione storica di gente tacitamente sottomessa.

A ribadirlo già nel 1860, in un articolo scritto per un giornale democratico anglo-americano, fu niente poco di meno che uno dei pensatori più brillanti dell’epoca, ossia Karl Marx.

Nel suo scritto che, è a onor del vero poco ( a torto aggiungerei) conosciuto, intitolato “La Sicilia e i siciliani”, realizzato durante i moti precedenti lo sbarco sull’isola di Garibaldi, Marx formula un’interessante analisi storica delle condizioni e delle leggi della rivoluzione democratico -borghese siciliana e meridionale e non manca di fornire altri importanti spunti socio-politici.

Lo studioso apre il suo testo con le seguenti parole: “in tutta la storia dell’umanità nessun paese e nessun popolo hanno sofferto terribilmente per schiavitù e conquiste l’oppressione straniera, nessun paese e nessun popolo ha lottato così strenuamente per la propria emancipazione quanto la Sicilia e i siciliani”.

Enna – La statua di Euno, lo schiavo che tra il 139 a.C. ed il 135 a.C. guidò la rivolta contro Roma.

Il popolo siciliano, come risaputo è un crogiolo di razze e culture, frutto dell’incrocio tra sicani, siculi, fenici, cartaginesi, greci, schiavi di ogni parte del mondo prima conosciuto, romani, arabi, normanni, solo per citarne alcuni.

Ma già ai tempi degli invasori greci e cartaginesi, come lo stesso Marx sottolinea, pur divenendo tributari i siciliani non furono mai completamente sottomessi. Nonostante l’isola fosse divenuta il territorio di battaglia tra cartaginesi e greci, nonostante la schiavitù, la popolazione locale non smise mai di lottare per la libertà . Il successivo dominio romano non alleggerì le già vessanti condizioni sociali, anzi le peggiorò incrementando la schiavitù. Cartaginesi e siracusani sottomessi, insieme a migliaia di indigeni furono venduti nei paesi più disparati come schiavi. In una sola notte furono venduti 30.000 abitanti di Panormo, ossia l’odierna città di Palermo. La Sicilia divenne il “granaio” di Roma e da tutto il mondo affluirono forzatamente schiavi per coltivare grano, così da sfamare la Città eterna e i suoi domini.

Nessun opera meglio delle orazioni di Cicerone pronunciate nel 70 a.C. contro Verre, descrisse le nefandezze e le ruberie dei proconsoli e dei prefetti romani sull’isola. Proprio sotto il governo di Verre la corruzione aveva in Sicilia raggiunto l’apice e il furto da parte sua agli ennesi del loro bene più caro, la statua di Cerere, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Incaricato direttamente dagli ennesi di portare giustizia, fu proprio Cicerone che pronunciò con successo le celebri “Verrine” che in un processo assai contrastato decretarono la sua vittoria e la fine politica di Verre che successivamente andò in esilio volontario a Marsiglia, prima di essere ucciso nel 43 a.C. per ordine di Marco Antonio che lo aveva inserito nelle liste di proscrizione.

Quella era la Sicilia della schiavitù, la Sicilia del grano e della “decima”, la tassa sul raccolto la cui base di calcolo era il 10% del raccolto stesso, su cui si andava a sommare il 6% come compenso previsto dalla legge.

Ma nonostante tutto questo, sia sotto l’occupazione romana che sotto il siracusano Dionigi , nell’isola si registrarono le più significative rivolte degli schiavi, nel corso delle quali spesso popolazione locale e schiavi facevano fronte comune. Dopo la caduta dell’Impero romano diverse furono poi le incursioni straniere in Sicilia. Ma come Marx non manca di rimarcare, in periodo medievale i siciliani con la forza delle armi conquistarono rilevanti libertà municipali, ma anche rudimenti di un governo costituzionale che allora non esisteva in nessun altra nazione.

La bandiera del Vespro, 1282, una delle più antiche al mondo.

I siciliani furono i primi a fissare mediante votazione il reddito dei loro governi e dei loro sovrani. Nella sua analisi Marx cita poi i celebri Vespri Siciliani e continua a ribadire che nonostante le angherie subite da Aragonesi, Asburgici e Borboni, gli abitanti dell’isola seppero mantener più o meno intatti i loro privilegi politici.

Il filosofo parla poi delle responsabilità dell’Inghilterra che aveva cercato e ottenuto l’alleanza dei siciliani contro Napoleone inducendoli ad accogliere nell’isola la famiglia reale borbonica cacciata da Napoli, salvo poi lasciarli soli al loro gioco.

I nobili siciliani furono comunque abili a cogliere l’opportunità per forzare i Borboni a promulgare una nuova costituzione per la Sicilia basata sul sistema Westminster del governo parlamentare e fu infatti una costituzione alquanto liberale per quei tempi. In ogni caso dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando IV di Napoli (e III della Sicilia) avrebbe immediatamente abolito la costituzione non appena ritornato alla corte reale di Napoli.

Non poteva infine mancare nel testo, il riferimento alla condizione di sfruttamento in cui ai tempi di Marx i contadini siciliani erano soggetti: loro “i produttori del rinomato grano siciliano e della prelibata frutta siciliana, si nutrono di fagioli tutto l’anno”. Lo stesso sfruttamento dei latifondisti a danno dei contadini che permase a lungo in Sicilia e contro il quale alcuni anni dopo la morte di Marx si sarebbero costituiti i Fasci dei Lavoratori Siciliani, il più grande movimento di massa dell’epoca dopo la Comune di Parigi.

La Sicilia e i Siciliani

“In tutta la storia della razza umana nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto in modo altrettanto terribile per la schiavitù, le conquiste e le oppressioni straniere, e nessuno ha lottato in modo tanto indomabile per la propria emancipazione come la Sicilia e i siciliani. Quasi dal tempo in cui Polifemo passeggiava intorno all’Etna, o in cui Cerere insegnava ai siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri, la Sicilia è stata il teatro di invasioni e guerre continue, e di intrepida resistenza. I siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze del sud e del nord; prima dei sicani aborigeni con fenici, cartaginesi, greci, e schiavi di ogni parte del mondo, importati nell’isola per via di traffici o di guerre; e poi di arabi, normanni, e italiani. I siciliani, durante tutte queste trasformazioni e modificazioni, hanno lottato, e continuano a lottare, per la loro libertà.

Più di trenta secoli fa gli aborigeni della Sicilia opposero resistenza come meglio poterono al predominio degli armamenti e all’arte militare degli invasori cartaginesi e greci. Vennero resi tributari, ma non furono mai del tutto sottomessi né dagli uni né dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu il campo di battaglia dei greci e dei cartaginesi; la sua gente fu ridotta in rovina e in parte resa schiava; le sue città, abitate da cartaginesi e greci, furono i centri da cui oppressione e schiavitù si diffusero all’interno dell’isola. Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai l’occasione di lottare per la libertà, o almeno di vendicarsi quanto più potevano dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I romani infine sottomisero cartaginesi e siracusani, vendendone come schiavi il maggior numero possibile. Furono così venduti tutti in una volta 30.000 abitanti di Panormo, la moderna Palermo. I romani fecero lavorare la terra siciliana da innumerevoli squadre di schiavi, allo scopo di sfamare i proletari poveri della Città Eterna con il grano siciliano. In vista di ciò, non solo resero schiavi gli abitanti dell’isola, ma importarono schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà dei proconsoli, pretori, prefetti romani sono note a chiunque abbia un certo grado di familiarità con la storia di Roma, o con l’oratoria ciceroniana. In nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana arrivò a tali orge. I cittadini poveri e i piccoli proprietari terrieri, se non erano in grado di pagare lo schiacciante tributo loro richiesto, erano senza pietà venduti come schiavi, essi stessi o i loro figli, dagli esattori delle imposte.

Ma sia sotto Dionigi di Siracusa che sotto il dominio romano, in Sicilia accaddero le più terribili insurrezioni di schiavi, nelle quali popolazione indigena e schiavi importati facevano spesso causa comune. Durante la dissoluzione dell’impero romano, la Sicilia fu assalita da vari invasori. Poi i mori se ne impadronirono per un certo periodo; ma i siciliani, soprattutto le popolazioni originarie dell’interno, resistettero sempre, con più o meno successo, e passo dopo passo mantennero o conquistarono diversi piccoli privilegi. Quando le prime luci avevano appena cominciato a diffondersi sulle tenebre medievali, i siciliani avevano già ottenuto con le armi non solo varie libertà municipali, ma anche i rudimenti di un governo costituzionale, quale allora non esisteva in nessun altro luogo. Prima di ogni altra nazione europea, i siciliani stabilirono col voto il reddito dei loro governi e dei loro sovrani. Così il suolo siciliano si è sempre dimostrato letale per gli oppressori e gli invasori, e i Vespri siciliani restarono immortalati nella storia…”

da Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, vol. XVII, pagg. 375-377