29 dicembre 1945 – LA BATTAGLIA DI MONTE SAN MAURO… Quello che i libri di storia non vi racconteranno mai!

“L’alba del 29 dicembre ’45… nelle parole del comandante Concetto Gallo”

noi-italiani-e-voi-siciliani-728 (2)“Furono tenuti in scacco da cinque evisti per un giorno intero. Cadde il giovane indipendentista Diliberto e il sottoscritto finì prigioniero.”

Palermo: Piazza Politeama comizio di Concetto Gallo

di Concetto Gallo

«Nella seconda metà del 1945, mentre io mi trovavo nella clandestinità sulle montagne attorno a Caltagirone, alcune componenti politiche dell’indipendentismo avevano preso contatto con esponenti dell’Italia per la ricerca di una soluzione pacifica che escludesse o che evitasse lo scontro armato. E in effetti qualcosa di sostanziale riuscirono a ottenere. Un giorno qualcuno mi avvertì che mantenessi calmi i miei uomini perché qualcosa a Roma si stava muovendo in senso molto favorevole a noi. E in effetti, all’incirca verso il mese di novembre del 1945, l’allora il ministro degli Interni, Giuseppe Romita, inviò, espressamente, un aereo militare a Catania con il compito di portare a Roma una rappresentanza dell’indipendentismo.

Su quell’aereo si imbarcarono alcuni esponenti prestigiosi del Mis. C’erano l’onorevole Bruno di Belmonte, mio padre, Ulisse Galante, Giuseppe Bruno e l’avvocato Pontetoro. Riunitasi a Roma insieme con altri elementi del Mis, la commissione presentò a Romita un progetto di armistizio che prevedeva il rientro nella legalità di tutti i giovani dell’Evis, la libertà di parola, la riapertura delle nostre sedi, e così via. Romita fu largo di promesse. Promise anche il riconoscimento di una bandiera siciliana, la bandiera giallo-rossa con una coccarda tricolore, ma i più intransigenti indipendentisti saltarono per aria “No, la coccarda no”, dissero sdegnati. Fu mio padre, con molto buon senso, che accettò la proposta. “Ma sì”, disse. “La coccarda tricolore nella bandiera siciliana può andare benissimo”, concluse.

A questo colloquio ne seguirono, tra Palermo e Roma, alcuni altri nei quali, sia pure non ufficialmente, ci si occupava del problema del fatto compiuto: vale a dire dell’esistenza dell’Evis, del destino degli uomini che erano finiti nella clandestinità. Accordi precisi non ne vennero fuori. Si stabilì a un certo punto che una volta entrato in vigore quella sorta di statuto tutto dovesse ritornare come prima, che gli uomini sarebbero scesi dalle montagne, avrebbero deposto le armi e “in un modo o nell’altro sarebbe stata trovata una soluzione”.

Era questa soluzione che io stavo aspettando nella prima metà del mese di dicembre 1945 sulle montagne di Caltagirone. I messaggi che mi venivano dal Movimento erano improntati al migliore ottimismo e invitavano, costantemente, a non “creare disordini”. Per questa ragione, vale a dire per non turbare i “pour parler” in corso con errori, bloccai a Nicosia e a Pietraperzia una colonna di circa duecento giovani che doveva ricongiungersi al mio gruppo.

Ma il ventisette dicembre Guglielmo di Carcaci mi inviò un messaggio. “Stai attento”, diceva il biglietto, “perché in questi giorni le zone dell’Etna e quelle di Catania pullulano di soldati. Ci sono molti movimenti strani”.

firma di Concetto Gallo
Firma di Concetto Gallo

Il giorno dopo, il ventotto dicembre, un gruppo di contadini mi avvertì che Caltagirone era diventata un vero e proprio presidio e che c’erano anche dei carri armati. La mattina del 29 dicembre, all’alba, raggiunsi la sommità di Piano della Fiera dove c’era il nostro accampamento. La zona era quasi tutta circondata dalla nebbia.

I giri d’orizzonte col binocolo non dicevano granché. Poi, alle sei e mezzo, arrivò la prima bordata di mortai. La battaglia era già iniziata. Noi, come dicevo, eravamo una sessantina in tutto, compreso un gruppo di briganti che durante la notte si era avvicinato al nostro accampamento per rifocillarsi. Inoltre mancava la pattuglia di cinque uomini che la notte precedente era stata mandata in avanscoperta.

Non appena si diradò la nebbia, affiorò chiara, in me e poi negli altri, la sensazione che era arrivata la nostra ultima ora. L’accerchiamento nei nostri confronti era già stato effettuato. Ma, convinto che la guerra sarebbe dovuta continuare anche dopo di me, operai in modo di impegnare le truppe e di fare sganciare il grosso dei miei uomini. Mentre io con cinque giovani, Amedeo Boni, Emanuele Diliberto, Filippo La Mela e due contadini, mi portavo verso le truppe, carabinieri, polizia, soldati, per impegnarli frontalmente, e dar così modo al resto degli uomini di arretrare, ordinai al resto della compagnia di sganciarsi e di abbandonare la zona.

La battaglia cominciò a diventare aspra. Le truppe cercano di creare attorno a loro la terra bruciata. I cinquemila uomini, al comando dei cinque generali, cominciarono a sparare con una intensità inaudita: come se di fronte a loro avessero avuto un vero e proprio esercito. In effetti a questa “credenza” avevamo contribuito anche noi inviando al ministero degli Interni, nei mesi precedenti, rapporti, su carta intestata dell’Ispettorato generale di polizia, nei quali si drammatizzava enormemente la situazione e dove si parlava di basi, di ingente numero di armi e materiali.

I miei uomini operano lo sganciamento attorno alle due del pomeriggio. A quell’ora contro cinquemila uomini che, come scrissero più tardi i giornali, “sparavano migliaia e migliaia di colpi” non c’ero che io e altri quattro. La bandiera giallo-rossa garriva al vento e più tardi, quando le truppe si avvicinano alla nostra postazione, era l’obiettivo principale dei tiratori. Verso le due e trenta del pomeriggio, sistemai un cecchino al mio fianco sinistro per impedire una sortita da parte delle truppe. Ma l’uomo, il giovane Diliberto di Palermo, commise un errore. Per raggiungere una posizione più avanzata si spostò e nel tragitto venne colpito a morte.

All’infernale fuoco delle truppe noi rispondemmo alla meglio con le nostre armi in dotazione: fucili, mitra e bombe a mano. Ormai stava per calare la sera e le nostre munizioni erano finite.

Sembrava che la morte non mi volesse. Una pallottola mi colpì al petto ma fu deviata da una medaglietta che tenevo nel taschino del giubbotto. Più tardi una raffica di mitra mi sfiorò il fianco bucando il giaccone e lasciandomi indenne. Poi una fucilata mi sfiorò all’altezza del cavallo dei pantaloni. Anche questa non mi colpì. Un colpo mi portò via il berretto e mi colpì lievissimamente alla testa.

Fu il momento in cui capii che non c’era più niente da fare. Che l’unica cosa era morire là sul quel pianoro, insieme con i miei amici, i miei uomini. Ordinai a Boni e a La Mela di mollare e di arrendersi. Boni rifiutava di abbandonarmi e io glielo imposi. Restai solo. Fu allora che staccai la bomba a mano che tenevo legata alla cintura, tirai fuori la spoletta e me la buttai tra i piedi nella speranza di saltare per aria. La bomba non esplose.

Ormai era quasi sera. C’era un sibilo. E una bomba, una granata, esplose davanti a me. Il buio della morte arrivava col buio della serata? Macché. Pochi minuti dopo mi risvegliai. Accanto c’era un maresciallo dei carabinieri, il maresciallo Manzella, che, come avrei saputo più tardi, mi aveva salvato la vita. Trovandomi infatti svenuto, il milite della pattuglia che mi aveva scoperto aveva già puntato il mitra contro di me e stava per lasciare partire una raffica quando intervenne il maresciallo dei carabinieri Manzella. E lui che puntando a sua volta il mitra contro l’uomo gli disse: “Se tiri contro quell’uomo ti ammazzo”.

Ma non ebbi molto a gioire, almeno per qualche tempo, di essere scampato alla morte. Ammanettato come un brigante, venni caricato su un camion e portato a Catania dove, immobilizzato ancora di più, mani e piedi, venni buttato dentro una cella, nella quale sono vissuto per due giorni senza bere e mangiare.

Quanto al resto dell’armata italiana, continuò a bombardare il Piano della Fiera fino all’indomani mattina alle sei. Il generale Fiumana, uno dei cinque generali che comandavano le truppe, incontrando più tardi mio padre gli tese la mano dicendo: “Ho avuto l’onore di stringere la mano a suo figlio”. Così finì la guerra per l’indipendenza della Sicilia».

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29 dicembre 2015 – 70° anniversario della Battaglia di Monte san Mauro (Caltagirone) La bandiera dell’EVIS e quella Siciliana sventolano sulla cima del monte san Mauro.
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29 dicembre 2015 – 70° anniversario della Battaglia di Monte san Mauro (Caltagirone) Il Segretario politico nazionale dell’FNS “Ciccio” Perspicace depone una corona in memoria dei combattenti dell’EVIS e del suo comandante Concetto Gallo.
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29 dicembre 2015 – 70° anniversario della Battaglia di Monte san Mauro (Caltagirone) Il Segretario politico nazionale dell’FNS “Ciccio” Perspicace e gli indipendentisti convenuti rendono omaggio ai combattenti dell’EVIS
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29 dicembre 2015 – 70° anniversario della Battaglia di Monte san Mauro (Caltagirone) Foto ricordo.

Per il suo coraggio Concetto Gallo fu soprannominato affettuosamente “U liuni di Santu Mauro

di Giuseppe Scianò,

Presidente onorario del Fronte Nazionale Siciliano “Sicilia Indipendente”

Pippo Scianò, ex Segretario Politico e oggi Presidente onorario del Fronte Nazionale Siciliano "Sicilia Indipendente"
Pippo Scianò, ex Segretario Politico e oggi Presidente onorario del Fronte Nazionale Siciliano “Sicilia Indipendente”

Concetto Gallo fu uno dei leader più popolari del Separatismo Siciliano, soprattutto negli anni più “caldi”, che furono quelli che andavano dal 1943 al 1946. Dedicando la propria vita alla causa indipendentista, aveva lasciato alle sue spalle una vita ricca di successi sportivi e di importantissime relazioni sociali. Come indipendentista, fece una buona esperienza di dirigente della Lega Giovanile Separatista.

Tra l’altro, fu anche l’animatore di molte delle audaci manifestazioni di piazza, non autorizzate (anzi vietate) con le quali i Siciliani chiedevano di poter accedere a una consultazione referendaria sull’Indipendenza della Sicilia, in nome dei principi dichiarati dalla Società delle Nazioni.

Dopo l’eccidio di Randazzo, Concetto Gallo ebbe il delicatissimo incarico d’assumere il comando dell’EVIS. Egli in questa occasione volle che fossero i guerriglieri stessi a eleggerlo. Cosa, questa, che avvenne puntualmente e in un clima di grande entusiasmo. [Clicca qui per sapere di più su ciò che successe a Randazzo il 17 giugno 1945 dove a un posto di blocco dei carabinieri vennero uccisi Antonio Canepa, comandante dell’EVIS “Esercito Volontario per la Indipendenza della Sicilia”, e due suoi giovani collaboratori, pure militanti, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice].

In memoria di Antonio Canepa, che aveva adoperato lo pseudonimo di “Primo Turri”, Gallo scelse il nome di battaglia di “Secondo Turri”. Era il primo luglio 1945. Concetto Gallo aveva l’età di 32 anni, essendo nato nel 1913.

Con Concetto Gallo l’EVIS diventò operativo e ingaggiò diversi combattimenti con le Forze Armate Italiane che, in quel periodo, appoggiavano le Forze di Polizia e i Carabinieri nell’opera di una drastica repressione delle proteste popolari, delle forze guerrigliere e dei loro sostenitori e nei confronti del movimento indipendentista guidato innanzi tutto da Andrea Finocchiaro Aprile, ma anche da Antonino Varvaro, da Attilio Castrogiovanni e da altri personaggi di grande statura morale e politica.

In quel periodo, lo ripetiamo, il Popolo Siciliano, compatto, chiedeva a gran voce l’indipendenza e la libertà. Chiedeva la ricostruzione e la ripresa economica e produttiva della Sicilia. Chiedeva un avvenire migliore per la Sicilia che dal 1860 era stata sostanzialmente una “colonia interna” al Regno d’Italia. Aveva riacquistato la consapevolezza di sé e dei propri diritti.

La scelta della lotta armata per gli Indipendentisti fu necessaria proprio per difendere i diritti fondamentali del Popolo Siciliano, della Nazione Siciliana, compreso il diritto di parlare, di protestare e di difendere la propria dignità. La strage avvenuta a Palermo in via Maqueda con 24 vittime innocenti e con più di cento feriti (provocata dai soldati dell’Esercito italiano della Divisione Sabauda con funzioni d’ordine pubblico e con armamento da guerra) doveva pure avere insegnato qualcosa.

La battaglia per la quale Concetto Gallo entrò nel mito fu quella ingaggiata sulle alture della contrada Santo Mauro, nei pressi di Caltagirone, quando contro il campo dell’EVIS furono mobilitati circa tremila soldati dotati anche di armi pesanti. Con “Secondo Turri” in quel momento vi erano soltanto una cinquantina di combattenti dell’EVIS.

Dopo avere opposto per alcune ore una eroica resistenza e avere tenuto a debita distanza i militari italiani, Concetto Gallo capì che la disparità di mezzi, l’uso dei cannoni e delle mitragliatrici e la schiacciante superiorità di uomini delle truppe che erano agli ordini del generale Fiumara avrebbero avuto comunque la meglio. Decise quindi di tentare di salvare i suoi giovani guerriglieri, aprendo loro una via di fuga, e di sacrificarsi per tutti soltanto lui che peraltro aveva la capacità di tenere impegnato il nemico finché avesse avuto vita, dando il tempo ai suoi di defilarsi a poco a poco.

Al suo fianco però restarono due guerriglieri che gli avevano disubbidito e che vollero condividerne come sempre le sorti. Il piano riuscì al meglio. Anche se vi furono morti e feriti da entrambe le parti, anche se Concetto Gallo fu catturato e anche se il campo di Santo Mauro fu smantellato, resta il fatto che moralmente e politicamente i giovani dell’EVIS furono considerati i vincitori di quella battaglia. Tanto più che quegli stessi giovani avrebbero continuato a lottare per l’Indipendenza della Sicilia.

In quella circostanza morì, a seguito delle ferite riportate, e per le difficoltà di trovare adeguate cure mediche, il giovane guerrigliero palermitano Raffaele Di Liberto. Concetto Gallo e i suoi ultimi due compagni d’armi, feriti, furono catturati e imprigionati. Per ragioni di spazio, di Concetto Gallo non possiamo ora dire tutto ciò che si dovrebbe dire e che il nostro eroe merita. Ricordiamo però che fu soprannominato affettuosamente “U liuni di Santu Mauru” per il suo valore, per il suo coraggio e per la sua tanta generosità.

Il 15 maggio 1946, con decreto legislativo sottoscritto dal Re d’Italia Umberto II e da tutti i componenti del governo italiano e dai presidenti (solo di nome) della Camera dei Deputati e del Senato, fu promulgato lo Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Siciliana. Era il frutto di un “pactum” che avrebbe portato anche all’interruzione della lotta armata e l’amnistia. Addio alle armi, dunque!

In seguito, Concetto Gallo fu eletto deputato alla Costituente il 2 giugno 1946. E così poté uscire dal carcere in cui era stato rinchiuso per la sua “ribellione armata”. Fu anche eletto deputato regionale, nell’aprile 1947, in occasione della prima consultazione elettorale per l’elezione dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Il tradimento da parte dello Stato, dei Governi e dei partiti del “pactum” (che era stato alla base dell’addio alle armi da parte dell’EVIS), lo svuotamento dell’Autonomia, il decadimento morale e la pochezza di contenuti della vita politica (ormai ostaggio dei partiti italiani unitari e anti autonomisti), l’ascarismo dominante soprattutto nelle istituzioni, delusero profondamente Concetto Gallo. Il crollo elettorale e organizzativo del Movimento Indipendentista gli diedero infine il colpo di grazia.

La Battaglia di Monte San Mauro nei ricordi del combattente EVIS Totò Salerno

Totò Salerno
Totò Salerno

TOTO’ SALERNO: LA LIBERTA’, I GIOVANI, LA SICILIA
(Articolo intervista pubblicato da  Giuseppe Vaccaro)
Totò Salerno, nato a Niscemi, una piccola cittadina agricola in provincia di Caltanissetta, il 3 gennaio 1925, trascorse la sua infanzia vedendo la Sicilia al cospetto della mafia che aveva già assunto i contorni di uno Stato nello Stato e dei gerarchi in camicia nera che propagandavano al paese, unità, patriottismo e compattezza. Proprio in questo clima, durante la sua adolescenza germoglia in lui un grande desiderio di libertà e di giustizia per il Popolo Siciliano portandolo verso l’ideologia del separatismo. La Sicilia Stato assoluto.
Parte attiva e determinata della sua presenza nell’EVIS è stata durante l’istituzione, in territorio di Caltagirone, confinante con quello di Niscemi, del campo San Mauro, sito strategico in quanto da quella posizione, esattamente monte Moschitto in località Piano della Fiera, si sarebbe stati in grado di anticipare qualsiasi attacco; cosa che in seguito, proprio per la posizione fu espugnato dai militari italiani in non meno di un giorno.

Oltre a Totò Salerno, all’interno del campo, vi erano una cinquantina di giovani separatisti; giovani lavoratori e studenti che si addestravano a combattere per un puro ideale di libertà e di Patria, non erano degli stragisti o clandestini ma delle persone che si preparavano alla battaglia a viso aperto.

Nel giro di pochi giorni a ciascuno fu consegnata una divisa color kaki e un mitra che per ordine doveva sempre essere portato a tracollo anche quando si dormiva. Totò Salerno aveva anche il compito dei rifornimenti, che provenivano dal territorio di Niscemi, in quanto essendo impiegato in una grossa azienda agricola niscemese (masseria), conosceva molto bene il territorio e, quindi, capace di reperire e trasportare approvvigionamenti.

A Monte San Mauro, Concetto Gallo, ed altri separatisti, tra cui Totò Salerno, fecero erigere una stele (con base e forma triangolare che richiama la Sicilia), per ricordare la gloriosa battaglia e onorare tutti gli evisti morti per la “causa siciliana”. Purtroppo, mani ignote ne hanno asportato la lapide mutilandone la sacralità.
Nessun altro atto ufficiale è stato portato a termine da parte dei militanti dell’EVIS dopo la battaglia di San Mauro avvenuta appunto il 29.12.45, diversamente, Totò Salerno ne avrebbe sicuramente fatto parte.

Ha scritto l’avv. Rossana Interlandi dedicandogli una sua campagna elettorale:

“Un figlio di Niscemi nato nel 1925 (3 gennaio) e morto nel 1994 (5 marzo); il suo cuore infuocato di ventenne combattente sia per me e per i giovani di Niscemi il segno e la testimonianza di quanto sia dolce spendere per i fratelli Siciliani tutta la propria vita, fino alla donazione di sé”.

A Toto Salerno e a tutti gli evisti, giovani lavoratori e incensurati, oggi va certamente riconosciuto il ruolo primario di avere contributo, con la loro partecipazione, con la loro caparbietà, con il loro sangue e la loro sete di libertà e indipendenza, a rendere la Sicilia una regione autonoma munita di uno strumento istituzionale come è lo Statuto Speciale dell’Autonomia Siciliana.

 

L’ESSENZA DELLO STATUTO SPECIALE SICILIANO NELLE PAROLE DI ATTILIO CASTROGIOVANNI

da “Il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” – Memorie del duca di Carcaci

Franz carissimo,

l’incontro in casa tua è stato veramente indovinato e felice e tra i cinque si è creato un “momento magico” che ci ha tolto dalle spalle 30 anni e ci ha fatto vibrare nel petto la fede, la volontà e l’orgoglio di allora.

Di quando lottammo, soffrimmo e vincemmo dopo aspra e combattuta guerra.
In verità in quella stanza ed in quel momento non eravamo cinque, ma erano con noi — entità presenti seppure invisibili — i Finocchiaro Aprile, i Tasca, i Canepa ed i Rosano e quanti allora furono con noi e come noi e taluno migliore di noi.
Ho detto guerra, perché di guerra si è trattato che si è conclusa con una nostra indiscutibile vittoria.

Eravamo pochi?
Si vede che i pochi valorosi pesano più, nella Storia, dei molti imbelli.

Eravamo scalzi, poveri ed affamati?

Si vede che la vita non è fatta solo di benessere materiale e che la forza non è fatta di stomachi sazi
ma di cuori pieni di ideali.

Non avevamo armi?
Si vede che l’arma della ragione e della fede conta più dei fucili e dei cannoni.

Il fatto certo è che noi abbiamo vinto e che l’Italia nella forma antica e per essa il suo governo dovettero venire a patti e, di seguito, concludere una pace e che noi lo ripeto vincemmo.

La Vittoria, si dice, ha cento padri; la sconfitta è orfana. Ma nel nostro caso in Sicilia ed in Italia, pur essendo innumerevoli le facce di bronzo, nessuno ha osato assumersi la paternità della vittoria e tutti, anche i nostri più acerrimi detrattori e nemici ed i falsificatori più abili, han dovuto convenire che l’autonomia è la vittoria del separatismo.

Ho parlato di guerra e di pace e bene a ragione, perché le accese lotte, talvolta cruente, dal ’43 al ’46 si conclusero con un patto di armistizio che venne ampiamente dibattuto e concordato in sede di Consulta e si concretò nel Decreto Legislativo del 15 maggio 1946 che promulgò lo Statuto Speciale per la Regione Siciliana.

Lo Statuto Speciale Siciliano 15 maggio 1946

Cosa questa che permise al Governo Italiano di vedere eletti, nelle elezioni immediatamente seguite del 6 giugno 1946, appena 4 indipendentisti all’Assemblea Costituente Nazionale.

Se ne dedusse che noi, in realtà, eravamo deboli, oppure che il Popolo Siciliano fosse ingrato, ma questo non è vero perché i lottatori sono sempre pochi, mentre i politicanti sono molti ed alla gratitudine i popoli non sono tenuti.

Basti pensare che, quasi nello stesso momento, gli inglesi non ridiedero la maggioranza a quel Churchill che era il loro Eroe, che li aveva salvati dalla catastrofe e portati alla vittoria.
Proprio perché i popoli scelgono gli uomini della guerra quando si deve fare la guerra e quelli della pace quando la pace deve èssere fatta.

Piuttosto io direi che i Siciliani furono imprudenti, perché ritennero — come veniva propagandato — che la promulgazione dello Statuto costituisse un trattato di pace, laddove esso in realtà costituiva un patto di armistizio che in trattato di pace si sarebbe trasformato solamente quando fosse stato incorporato inalienabilmente nella Costituzione dello Stato.

Alla Costituente eravamo appena in quattro (e negli ultimi tempi ci assottigliammo in tre) e, tuttavia, ebbimo la capacità di fare accogliere senza il mutamento di una sola virgola lo Statuto del ’46 nel meraviglioso giorno del 2 febbraio 1948.
Arrivammo a ciò per la statura che aveva saputo assumere il nostro Finocchiaro Aprile in Parlamento negli indimenticabili giorni delle sue memorabili battaglie che ancora oggi vengono ricordate come monito ai pavidi, agli intriganti ed ai disonesti.

In verità i Siciliani si dimostrarono imprudenti ancora una volta quando non mandarono Finocchiaro Aprile al Senato ed infine quando nel 1951 non ridessero gli indipendentisti.
In quest’ultima occasione essi furono vittima di un tristissimo imbroglio — quello del mutamento della legge elettorale pochi giorni prima delle elezioni del 1951 che divideva la Sicilia in nove diverse e quasi nemiche parti, spegnendo lo spirito di sicilianità tutto e consegnandola alle beghe, agli intrighi ed alle miserie delle varie cosche dei partiti e dei numerosi borghi.

Tornando al nostro discorso di guerra, di patto di armistizio e di trattato di pace debbo dire che tutto ciò è reso evidente dal fatto che gli altri statuti — anche quelli speciali — vennero “concessi” laddove il nostro venne lungamente elaborato e concordato dalle parti in sede di “Consulta Nazionale”.

In seguito qualcuno, non potendosi proclamare padre della vittoria, ha tentato — non creduto — di proclamarsi autore di qualche parte di essa; ma in realtà tutto venne fuori dalla nostra ispirazione e non dimenticherò mai ì lunghi giorni e le lunghe notti nelle quali, prigioniero ed isolato nelle varie carceri di Sicilia, meditavo il modo come dare uno Statuto Federativo alla nostra Isola, togliendo all’Italia i mezzi essenziali con i quali ci aveva soggiogato, oppresso e sfruttato.

Lascia che ti dico che meritava di essere con noi, nella giornata di ieri, il buon Siciliano Guarino Amella che si fece fedele e combattivo portatore delle nostre istanze con ciò rendendosi utile alla nostra Patria nei momenti solenni dell’accordo.

Ti esporrò perché noi vincemmo e come costringemmo il Governo dell’Italia di allora alla resa alle nostre condizioni e come da allora la “Magna Carta” delle libertà siciliane solenne ed insopprimibile, perché facente parte della Costituzione dello Stato, abbia in realtà creato uno Stato federativo.

Che i machiavelli romani e gli sciagurati servi traditori nostrani — da quegli spergiuri che sono — non abbiano attuato lo Statuto non ha importanza, perché nella sua indistruttibilità di carta costituzionale esso può sembrare ucciso, ma in realtà è semplicemente addormentato e può venire il giorno — e questo giorno prima o poi verrà — nel quale esso si sveglierà ad opera di uomini di fede e produrrà quegli effetti che sino ad oggi non ha prodotto con una rivoluzione che sarà simile in apparenza alla nostra, ma che in realtà sarà sostanzialmente dissimile.

Noi, infatti, lottammo contro le Leggi ingiuste affinché esse venissero mutate; in avvenire si dovrà lottare per la protezione delle Leggi giuste ed al solo scopo che esse siano attuate.

Non mi resta che elencarti le singole clausole vittoriose del trattato di pace.

1) Al popolo Siciliano e per esso al Parlamento venne attribuita la “competenza esclusiva” a fare leggi in quasi tutte le materie che riguardano i valori materiali e morali relativi ad una Società civile (art. 14 dello Statuto).
Per quanto riguarda le materie secondarie era lo Stato a legiferare; ma se le leggi non venivano condivise, perché non adatte alla Regione, essa poteva mutarle, integrarle o parzialmente sopprimerle.

2) La Regione ebbe non un Consiglio Regionale, ma una Assemblea e non Consiglieri Regionali ma Deputati (art. 3 e segg. dello Statuto).

3) Venne recisa quella che era stata lungamente una corda al nostro collo in mano del Governo Centrale per guidare ed, alla occorrenza, per impiccare le resistenze siciliane.
Vennero, infatti abolite le Province ed i relativi prefetti agli ordini diretti di Roma e molto spesso contro la Sicilia (art. 15 dello Statuto).

4) Vennero tolti i denti al cane che per 86 anni ci aveva soggiogato e morso, perché il siciliano considerava il carabiniere (o peggio il poliziotto) come la pedina vicina di un lontano oppressore. Infatti la polizia venne messa agli ordini del Presidente della Regione (art. 31 dello Statuto).

5) Vennero riconosciuti i torti della dominazione di 86 anni ed abbiamo imposto al perdente il pagamento delle “riparazioni” e la restituzione del mal tolto.
Infatti con l’art. 38 si chiarisce che eravamo stati portati al fondo del livello nazionale e che l’Italia era tenuta a riparare il danno restituendo quanto occorreva per riportare al livello medio nazionale (art. 38 dello Statuto).

6) Abbiamo sbarrato la strada alla possibilità di ulteriore sfruttamento, riservando a noi le nostre ricchezze e precisamente dedicando al bene dei siciliani le valute estere, prima impedite dalle varie autarchie e poi dissipate dalla famelicità del nord. Infatti è previsto che siano a noi devoluti i proventi delle valute estere derivanti dalle rimesse degli emigrati, dal Turismo, dai noli marittimi e dalle esportazioni (art. 40 dello Statuto).
In proposito è giusto riportare un ricordo e fare un’osservazione:
a) Luigi Einaudi, grande economista e piemontese verace, fece il possibile e l’impossibile perché questo articolo non venisse approvato e correva, seppure zoppo, fra i banchi della
Costituente gridando: “Se approvate questo articolo, la Sicilia potrà battere moneta propria!”.
b) Se si fosse obbedito alla Costituzione, oggi la Sicilia sarebbe l’unica regione d’Italia a poter essere presente ed operante in quelle organizzazioni europee ed internazionali alle
quali l’Italia ha tentato di dire “arrivederci” e che, con viso arcigno, hanno risposto “addio”; e ciò mentre l’Italia, staccata dall’Europa, è già divenuta Africa: Africa senza petrolio.

7) Tutti i beni dello Stato e degli enti statali nella Regione sono stati restituiti ai siciliani, meno le caserme, delle quali la Sicilia faceva volentieri a meno e che vengono considerate alla stregua di basi militari in terra straniera.

8) Niente si deve più poter tramare contro la Sicilia. Quando di essa si parla deve essere presente, con la qualità di Ministro, il Presidente della Regione. Nessuno deve poter comandare in Sicilia a nome dello Stato, perché la rappresentanza di esso è devoluta al Presidente della Regione {art. 21 dello Statuto).

9) Infine e lo comunicò per ultimo perché è il più importante, in quanto con questa “clausola” abbiamo nella lettera e nello spirito creato due diversi Stati seppure federativamente vincolati.
Si tratta dell’Alta Corte per la Sicilia {art. 24 e segg. dello Statuto). Infatti, secondo questa norma, la Sicilia fa le sue Leggi e si autoamministra, mentre l’Italia fa lo stesso nel residuo territorio nazionale. Se la Sicilia dovesse emanare una Legge in contrasto con la Costituzione Italiana, L’Italia ha il diritto di proporre ricorso ed uguale diritto compete alla Regione nel caso che l’abuso sia italiano.
La decisione è devoluta ad un collegio arbitrale ad altissimo livello — l’Alta Corte per la Sicilia — nominata dalle parti con pari forza numerica {tre per ognuna) e con pari dignità sostanziale.

Non sono, questi, due Stati?

Non sono, questi, due Stati con possibilità di controversia e con decisioni a prendersi da una Corte sovrannazionale?

Questa è la ragione per la quale per prima e ferocemente è stata aggredita l’Alta Corte e — dicono loro — soppressa.

Questo può essere vero al momento attuale, nel quale la nostra terra è governata da un “viceré con novanta bocche” {e con molta fame in ogni bocca perché destinata a nutrire molti stomachi); ma il giorno in cui la Sicilia si sveglierà e qualcuno la renderà edotta dei propri diritti insopprimibili, perché consacrati in una carta che non può essere soppressa; si constaterà che nulla è morto, ma che il buon diritto della Sicilia fu da noi conquistato in modo definitivo e con perennità nel tempo.

Quel giorno potrà essere vicino o lontano, ma, prima o poi verrà.

Di molti altri articoli da considerarsi clausole di un trattato di pace vittoriosamente concluso dalla Sicilia e contro il sistema Italiano, potrei scrivere ma dovrei dilungarmi, perché tutto lo Statuto, in ogni singolo articolo, è permeato di vittoria nostra e di sconfitta altrui dalla prima all’ultima virgola e basta rileggerlo per comprendere lo spirito e la portata.

Come ti dicevo, Franz carissimo, il momento di ieri è stato magico e possiamo essere lieti di avere potuto una volta e per sempre affermare che la nostra opera ha creato della Storia e che la cronaca dei fatti e degli avvenimenti deve essere — nella sua piccolezza — subordinata alla grandezza dell’avvenimento storico nel quale abbiamo avuto la fortuna di inserirci, combattendo, soffrendo, morendo; ma illuminati, alla fine, dalla vittoria, non delle nostre persone, ma della nostra Terra.

Questa mia segue, su Vostra richiesta, la “lettera di esortazione” che giorni addietro ho inviato a Giuseppe Tasca che ti rimetto in copia.
Sono certo che darete al libro “al Nostro Libro” quella dignità e levatura che esso merita per oggi, e più ancora, per domani.

Ti abbraccio.

ATTILIO CASTROGIOVANNI

“PRIMA ANCORA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA VIENE LO STATUTO SICILIANO…”

di Francesco Perspicace, segretario nazionale FNS “Sicilia Indipendente”

Per un Siciliano, consapevole della propria storia, prima ancora della Costituzione viene lo Statuto Siciliano… “Lo Statuto Siciliano non è un comune statuto, scritto con un qualsiasi inchiostro… perché è uno Statuto scritto con il sangue del popolo Siciliano”… Ignorare questo è gravissimo. Il testo che segue, scritto da Attilio Castrogiovanni, rende giustizia a chi realmente combatté per la realizzazione di un sogno… tradito e rinnegato subito da quei siciliani che anteposero (…e antepongono anche oggi) i propri interessi ai sacrosanti diritti del Popolo Siciliano!

 

INFATTI QUELLO “STATUTO”, PERALTRO DI NATURA “PATTIZIA” NON E’ MAI STATO APPLICATO INTEGRALMENTE”. “SONO STATI COSI’ TRADITI I DIRITTI FONDAMENTALI, LE SPERANZE E LE ASPETTATIVE DEL POPOLO SICILIANO CHE IN QUEL TORMENTATO DOPO-GUERRA LOTTAVA PER L’INDIPENDENZA DELLA SICILIA”.

VA SOTTOLINEATO IN PARTICOLARE CHE E’ STATO QUINDI UNILATERALMENTE VIOLATO IL “PACTUM” SOLENNEMENTE STIPULATO FRA I RAPPRESENTANTI DEL POPOLO SICILIANO IN ARMI ED I RAPPRESENTANTI DELL’INTERO “STATO” ITALIANO DELL’EPOCA: DAL RE D’ITALIA UMBERTO II DI SAVOIA AL CAPO DEL GOVERNO, AI MINISTRI ED AI PRESIDENTI F.F. DELLA CAMERA E DEL SENATO.

Un dato di fatto, quest’ultimo, che riapre drasticamente, in tutta la loro gravità, i termini della “QUESTIONE SICILIANA”.

Il fatto poi che lo Statuto Siciliano, in tutto questo tempo, sia stato manipolato, mutilato, alterato nel ruolo e nelle funzioni, dimostra la sussistenza della subordinazione coloniale subìta dal Popolo Siciliano sin dal 1860. E fino al giorno d’oggi, seppure MUTATIS MUTANDIS.

Va sottolineato in particolare che, di fatto, veniva, unilateralmente violato quel “PACTUM” sulla base del quale era stata interrotta la GUERRIGLIA INDIPENDENTISTA. Più scorretti di così non si poteva e non si può essere …

Le tante esternazioni, talvolta apparentemente condivisibili, sul fatto che la Regione Siciliana sia diventata un carrozzone sono spesso interessate e sospette… finalizzate a fare il gioco dei Partiti Italiani e delle loro “Filiali” in Sicilia. Confermano, però che occorre una Rivoluzione Culturale e Politica “Siciliana” e “Sicilianista”. E non giustificano certamente le grandi manovre antisiciliane in corso, né l’azione dei tanti politicanti -, locali e non, – che vorrebbero abolire lo STATUTO e la stessa Regione Siciliana.

In questo contesto Politico, Culturale ed Istituzionale, noi Indipendentisti del FNS, riteniamo doveroso rinnovare con forza e riproporre, anche a livello Europeo, la “QUESTIONE SICILIANA”, che è, – come i fatti dimostrano, – una “QUESTIONE” la cui soluzione si trova nel RISCATTO, nella RINASCITA e nell’INDIPENDENZA della “NAZIONE SICILIANA”. Una “QUESTIONE”, quella SICILIANA, importante quanto lo sono tutte le singole QUESTIONI delle NAZIONALITA’ e dei POPOLI che si tenta di “Abrogare”, – persino nell’ambito dell’EUROPA, – nonostante si tratti di Popoli che hanno contribuito in maniera determinante alla creazione della stessa Civiltà Europea. A questi popoli confermiamo la nostra solidarietà e la disponibilità alla collaborazione.

Nel caso specifico della Sicilia, oggi più che mai, si vedono traditi anche quegli IDEALI e quei PRINCÌPI che, nel 1945, avevano dato vita all’O.N.U. e che erano condivisi e perorati pienamente dall’Indipendentismo Siciliano forte e puro, guidato da ANDREA FINOCCHIARO APRILE.

ANDREA FINOCCHIARO APRILE

Ogni anno, dalla fondazione del FNS “Sicilia Indipendente” nel 1964, ci rechiamo sui luoghi che furono testimoni degli aspri combattimenti, per fare memoria e rendere onore a tutti i Siciliani famosi e/o sconosciuti che hanno rischiato e immolato la loro vita in tanti luoghi e nelle circostanze più svariate. Essi lottarono per il trionfo della Causa Siciliana e per riaffermare il DIRITTO (oggi negato) del Popolo Siciliano, della Nazione Siciliana all’INDIPENDENZA, all’avvenire, alla pace, alla libertà, al progresso, alla valorizzazione delle proprie risorse, alla crescita democratica, alla tutela della “propria” Identità Culturale, alla giustizia, alla felicità, alla rinascita, al riscatto morale e politico…

Nel loro NOME continuiamo la lotta!

Francesco Perspicace, segretario nazionale FNS “Sicilia Indipendente”

I PASSI DEL COMANDANTE… nelle parole del poeta Vito Cutuli

Sono stato a Monte San Mauro,
per sentire da vicino
i passi del comandante,
e di tutti i suoi uomini.
Le mie mani tremavano,
quando con il cuore
mi sono avvicinato alla stele,
mentre la bandiera continuava a sventolare.
Un venticello leggero mi ha spinto
a guardare il cielo…
per sentire più forte
i passi del comandante.

Vito Cutuli

Vito Cutuli, autore de “I passi del Comandante”

Foto

Monte San Mauro – Caltagirone. Vecchia foto della stele eretta da Concetto Gallo in memoria della battaglia del 29 dicembre 1945

 

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