1947 – PARTITI NAZIONALI E DIRITTI DELLA SICILIA di Luca Cosmerio (On. Luigi La Rosa)

 

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Tratto da “QUEL CHE SI PENSA IN SICILIA” 1947 di LUCA COSMERIO (on. Luigi La Rosa)
(Luca Cosmerio era lo pseudonimo che usava l’on. Luigi La Rosa, personaggio di primo piano del MIS – Movimento per l’Indipendenza della Sicilia del 1943)

On. Avv. Luigi La Rosa
On. Avv. Luigi La Rosa

PARTITI NAZIONALI E DIRITTI DELLA SICILIA
“Le assurde pretese del Nord trovano nei partiti estremi di Sicilia gli ausiliari più velenosi.
Da una parte, socialisti, comunisti, azionisti, hanno fatto sem­pre la propaganda più clamorosa sulla povertà della Sicilia, sulla impossibilità di essa a vivere senza la ricchezza del Nord, senza l’aiuto del Nord, poi, quando non si possono più nascondere i fatti, quando la realtà non può essere più celata, allora essi cambiano subito le carte del giuoco! Certo la ricchezza del Nord esiste solo in funzione dello sfruttamento del Sud e della Sicilia specialmente.
E’ un fatto che emerge oggi incontenibile.
Gli estremisti che lo hanno sempre negato, sono costretti ad ammetterlo, appena si è profilata la tenue speranza che lo sfruttamento del Nord venga meno e questo sia lasciato alle sole sue possibilità economiche. Allora gli estremisti sono ridotti all’ultima trincea e non rimane ad essi che l’affermazione più impensabile, che, cioè, la povera Sicilia ha il dovere di continuare a consentire a spogliarsi per far sì che la ricchezza del Nord non venga meno.
Proprio così!
Tutti sappiamo quanto sia irrisorio il progetto di autonomia per la Sicilia, varato dalla consulta regionale a Palermo. Un par­lamentino di 90 frati zoccolanti e questuanti, che potranno sotto­mettere al governo italiano le loro suppliche! Libertà doganale? Niente! Moneta propria? niente! Zona franca? Niente.
I Borboni erano meno avari!
Una cosa sola ha valore in pro’ della Sicilia nel sullodato pro­getto: « l’accantonamento presso il Banco di Sicilia, delle valute estere, provenienti dalle esportazioni, dalle rimesse dei nostri emi­grati, dal turismo nell’Isola, e dai noli di navi siciliane, onde la Sicilia possa far fronte con queste valute ai propri bisogni ».
Chi contrastò questo articolo, in seno alla Consulta di Paler­mo? Il ragioniere comunista Li Causi, che si dichiarò «contrario a che si crei un privilegio per i siciliani, i quali hanno una possibilità maggiore di ricevere valute estere che non gli abitanti delle altre regioni d’Italia », e concluse che « i siciliani hanno il dovere di contribuire, almeno in questo (!!), al risanamento della finanza italiana »!
E’ necessario dunque che i siciliani non ricevano se non carta-straccia! Ricevere moneta buona, in cambio dei loro buoni pro­dotti, sarebbe un privilegio, e, perché no?, un delitto!
L’articolo del progetto un solo privilegio mirava ad elimina­re: il privilegio del Nord che, impadronendosi della valuta estera spettante alla Sicilia, mantiene le proprie industrie, acquistando le materie ad esse necessarie, mentre la Sicilia, restando priva di buona moneta, è nell’impossibilità di acquistare merci estere e deve rassegnarsi a rivolgersi a Torino, a Milano, col disastro che ognuno ha subìto!
Ma i comunisti siciliani vogliono che questo sfruttamento con­tinui.
Nemici della plutocrazia, a chiacchiere, difendono con le unghie e coi denti la plutocrazia settentrionale.
I comunisti, in tutti i loro giornali, in tutti i loro discorsi non avevano assordato il mondo con la eterna litanìa che la Sicilia è povera? che ha bisogno dell’aiuto del Nord?, della generosità del Nord?
Per bocca di Li Causi, essi confessano che erano fandonie!
Quando si viene ai fatti, quando si entra nella pratica, Li Cau­si è costretto a riconoscere che « la Sicilia ha maggiore possibi­lità di ricevere valute estere », e fa toccare con mano che la Si­cilia è meno povera nel Nord, che ad essa il Nord deve possibilità di vita per le proprie strutture parassitarie, e Li Causi si batte af­finché l’Isola resti nel suo attuale servaggio economico!
Certo, il governo italiano, espressione delle cricche nordiche, la Costituente, essenza quinta dell’affarismo milanese, e dipenden­te da esso attraverso mille strade e carrobi, faranno in modo che l’articolo in parola non sia mai approvato, o che, comunque, ven­ga sempre eluso: ma, ad ogni modo, il comunista Li Causi ha mo­strato anche ai ciechi ciò che da lui e dai suoi seguaci può atten­dere la Sicilia.
Mèglio di così la Sicilia non potrebbe essere difesa! I terroni sono ben sostenuti! Così la corda sostiene l’impiccato!
Attrezzature del Nord! Industrie del Nord! Operai del Nord! Non si puoi posar l’occhio sopra un giornale, senza imbattersi nelle lamentele per la passività del loro rendimento. La meraviglia del lettore non è per questa constatazione, la meraviglia è che quasi ciò desta sorpresa, come per cosa che non si era aspettata!
Invece era proprio fatale che ciò succedesse!
Nate dall’arbi­trio, fuori di qualsiasi possibilità naturale, queste creazioni, venute su dal nulla, poggianti sul nulla, oggi mostrano a nudo quel che era stato sempre celato, mascherato, travisato. L’immenso appa­rato si rivela quale il peso morto, anzi il cancro della nazione in­tera.
Data la natura dell’Italia, pensare ad una larga possibilità in­dustriale, è stata sempre una pura follia, basata sulla megalomania nazionalistica, con cui l’«unità» si iniziò ed in cui sempre si è svolta; sull’avidità sempiterna dei settentrionali, che su questa me­galomania, hanno fatto sempre leva e da essa hanno tratto vantaggio. Non poteva non essere sempre preclusa ai prodotti delle fabbriche italiane, in concorrenza con gli Stati naturalmente indu­striali, la conquista dei buoni mercati esteri.
E domani la situa­zione sarà certo infinitamente peggiore. L’Italia tutta non poteva essere e non può essere che agricola e marinara : qualche industria non negativa potrà esistere soltanto trasformando i prodotti della terra, dunque quelli della Sicilia in particolar modo. Tutto il resto sarà sempre un tragico assurdo! L’Italia industriale non ha trovato e non troverà mai altro paragone che in quell’individuo di cui si burlava Orazio e che andava cercando pesci sui monti e alberi sul mare!
Quanto meglio lombardi, piemontesi etc. avrebbero fatto a restare terroni, quali erano stati sempre fino al 1860; a contentarsi della cultura dei bozzoli e dell’artigianato, invece di lanciarsi nel­le grandi acrobazie di stupefacenti produzioni, che hanno cagionato il danno dell’intera Italia e oggi lasciano le loro regioni in uno squilibrio che non avrà tregua!
Il trucco quasi secolare è oggi spezzato e ognuno constata che quelle grandi strutture, quelle grandi masse nessun rendimento pos­sono dare. Ma in qua! modo potrà ottenersi una proporzione fra i bisogni degli operai, il lavoro che essi danno, la produzione, che possono fornire? E poi questa produzione, sia pur ridottissima, sarà sempre un danno per l’intera nazione, ove si debba conser­vare ad ogni costo! Per conservarla, non sarà sempre interdetta al paese la libertà degli scambi? Non dovrà esser pur sempre ostacolato l’acquisto di buoni prodotti esteri, per conservare sia pure la sola lustra dell’industria italiana?
Considerando perfino una delle industrie meno assurde — per quanto assurda è essa pure — la Fiat — i giornali constatano che « essa è, da molti anni, riempita di contadini, materassai, parrucchieri etc. etc.». Questa elefantiasi da cui i plutocrati settentrionali traevano milioni; questa grande attrezzatura da cui i nazio­nalisti traevano orgoglio ed impulso alle loro follie, questa elefan­tiasi è stata la causa principale della fine d’Italia, che oggi si dibatte nel più convulsionario squallore!
Ma ognuno si chiede: dovrà continuare a spese dello Stato, quindi a spese di noi tutti, l’elargizione di miliardi, onde conser­vare l’illusione che le industrie possano sussistere ancora? (1).

(1) « La FIAT oggi non rende più una lira nota L’ Uomo Qualunque nel suo numero 12 febbraio 1947; e non può essere certo smentito; ma Io Stato continua imperturbabilmente a elargire miliardi alle industrie del Nord. E’ un assurdo, ma c’è un assurdo ancora più grande: persino le banche sici­liane mettono i capitali siciliani, che tengono in deposito, al servizio di esse! I poveri dunque danno elemosina ai ricchi? Lazzaro fa dunque omaggio a que­sti dei propri brandelli, invece di ricucirli e cercare di rivestire sé stesso?
La Regione di Palermo, nel suo numero del 3 agosto, notava : « II nostro Banco di Sicilia, cui il fascismo fece tanto male, dispone di capitali che sono siciliani. Ebbene, nei finanziamenti in corso, noi troviamo che il Banco di Sicilia ha concesso 400 milioni alla Fiat, 120 milioni alla Marchetti, 70 milioni allo zuccherificio Sermone (Mantova) e potremmo continuare… ».
Il fascismo fece male: nessuno può negarlo ; ma l’antifascismo lo continua in tutti i suoi errori, in tutti i suoi monopoli, in tutti i suoi traffici di abietto affarismo! I finanziamenti che il Banco di Sicilia concede alle industrie del Nord costituiscono un danno estremo per l’Isola. Sovvenzionare le industrie del Nord, significa alimentare queste aziende-piovre, la cui esistenza, anche grama, anche meschinissima, sboccherà sempre nella negazione di quella libertà doganale che è indispensabile alla Sicilia! Queste sovvenzioni sono fuori della logica: ma quali interventi statali vi sono stati in giuoco? Quale delle mille notorie cabale del Ministero dell’Industria vi ha avuto rapporto?”.

 Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi La Rosa... Monte San Mauro 1946
Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi La Rosa… Monte San Mauro 1946